sabato 9 febbraio 2008

calci nel deretano

Tempi magri per ridere. Nei cabaret statali impiegati comici si dilettano nella parte dei buffoni a comando, divertendo la platea nelle cui prime file siede il re, i suoi pari e tutto il loro codazzo di paggi a stipendio. Giullari e mentecatti aspettano fuori dal teatro, ma non hanno uova da lanciare, e se pure ce le hanno preferiscono la frittata.
A voler guardare il mondo con occhio a-politico c'è da essere molto più tristi piuttosto che a volerlo cambiare. Vale a dire che le cose si mettono male non solo per chi ancora crede in un voto democratico, ma anche e soprattutto per i semplici, per tutti i Sancio Panza veri o presunti di cui ancora, malgrado tutto, è pieno questo paese: soprattutto per loro diventerà sempre più difficile (far finta di) farsi bastare un 3/4 di aglianico, 2 mammelle e 4 risate... e paradossalmente ciò avverrà proprio perchè è su queste cose che si pretende di fondare l'intera politica, l'intero sistema socioeconomico delle nostre vite future.
La mia non è una condanna morale del populismo (che pure forse sarebbe consona) o della commercializzazione sfrenata dei primari istinti gioiosi dell'essere umano. Il mio problema è che credo che a breve non sarò più in grado di godere di quegli istinti (oddio, il fatto che io stia qui alle 23:32 di un Sabato sera mi spinge a pensare che oramai la cosa sia già in atto...). Il problema per me è che: 1) il vino allungato ad acqua (perché se vuoi che la politica si fondi sul vino, lo devi "allungare" per forza) non mi 'mbriaca, 2) la chiappa patinata di plastica mi attizza (che credevate??!!), ma mi lascia molto sconfortato e insoddisfatto (questa è una cosa che in effetti dovrei cercare di capire meglio) , 3) le risate di sottofondo come quelle dei tefefilm americani non mi fanno ridere, così come non riesco a ridere se la cosa dev'essere un gesto di cortesia o, peggio, di compiacimento collettivo. Le risate preordinate non mi fanno ridere. Sono tristi e basta (al paragrafo risate si potrebbero aggiungere quelli "applausi", "emozione", "forte emozione", "commozione", "sentore dell'epicità del momento", ecc.).
Qualcuno diceva qualche anno fa che non si ride abbastanza; io credo invece che si rida troppo, ma nei luoghi e nei modi meno opportuni. Chi sono io - dite voi - per stabilire quando e come una ristata è opportuna? Sono uno che trova difficile ridere alla cose per cui oggi si ride. Mi piacerebbe poter circoscrivere il significato di "oggi" al contesto televisivo, ma purtroppo la straripanza del catodico umorismo negli umori del reale mi sembra ormai un dato incontrovertibile. Ovviamente sono io che mi andrò ad estinguere. Il che dal mio punto di vista è un evento comico. Ma proprio il riconoscere la mia stessa probabile estinzione come evento comico è sintomo della mia incompatibilità con la comicità oggi dominante. E' un circolo vizioso. L'unico modo per interromperlo è abbassarsi i pantaloni e porsi ad angolo retto.

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