mercoledì 12 marzo 2008

gazzella

Mi avrebbe mangiato. Senza scherzi, bastava guardarla. C’ho fatto l’occhio, il callo come dire. non è una questione di immagine, di - come dicono - bellezza. É che la vedi muoversi, ne scorgi il portamento, e allora capisci che non ce n’è; o meglio, che ce ne sarebbe, ma si rischiano la ossa, da rompersele sul serio. Quel poco di animale che sono rimasto mi aiuta a fiutare, ma solo certe volte. E questa era una di quelle. Bastava guardarla, la gambe slanciate in movimento; se fosse stata immobile mi sarei anche potuto avvicinare; che dico, per lo più avrei avuto gli occhi per alzarli da terra e fissarla, fissare qualcosa di lei, qualsiasi cosa, in segno di fiutamento, quasi per rendermi presente. Ma quelle gambe, in quelle calze colorate, con quel passo longilineo, quel quasi non toccare terra… tutto ciò mi ispidiva, mi esculeava la pelle, mi rendeva riccio, protetto, immobile, intimorito. Il vicolo, quasi per tener fede alla definizione che ne da un qualsiasi vocabolario, era all’incirca stretto, chiaroscurante, neanche troppo malvagio. Quindi che noi dovemmo passarci affianco, io il riccio chino nel calore del mio respiro, lei gazzella volante, preda solo per finta. non è cattiveria, è che ne ho già viste troppe di gazzelle; pure le ho rincorse, le ho afferrate, le ho morse, le ho perse… perché se non riccio, non so che essere orso; e se sei orso non la fermi una gazzella, nemmeno se le tendi una trappola in un vicolo.
Ci passammo oltre, e le mille inutili elucubrazioni letterarie dei miei movimenti quotidiani cessarono, almeno fino a casa.

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