lunedì 24 marzo 2008
Zitaten...
"- Non ho più nessun sogno e non ho neppure l'ispirazione, - rispose il Maestro. - Intorno a me non c'è nessuno che m'interessi, eccetto lei, - e posò di nuovo la mano sul capo di Margherita. - Mi hanno spezzato, m'annoio e voglio andare nello scantinato."*
"C'è anche un'altra morale, evidente, in fondo a questo racconto, ora che ci penso: quando sei morto, sei morto. E Ancora un'altra me ne viene in mente adesso: fai all'amore quando puoi. Ti fa bene."**
"Per questo solo mi stimo un uomo intelligente, poiché in tutta la vita non ho potuto cominciare né finire nulla."***
"Questo non lo capsico - replicò Sancio - so solamente che fintanto che dormo, non sento né timori, né speranze, né fatiche, né gloria. Benedetto colui che inventò il sonno! (...) Una sola cosa brutta ha il sonno, come ho sentito dire, ed è che somiglia alla morte, perché tra un addormentato e un morto c'è poca differenza."****
"Sarò un'allucinazione taciturna."*****
* e ***** Il Maestro e Margherita - Michail Bulgakov
** Madre Notte - Kurt Vonnegut
*** Memorie dal sottosuolo - Fëdor Dostoevskij
**** Don Chisciotte - Miguel Cervantes
sabato 22 marzo 2008
intanto de li amichi mii...
qualcun'altro impazzisce,
il terzo è in cravatta
e il quarto reagisce.
L'ultimo poi mi
si mette a far i figli...
Sancio continua a bere
e a dare buoni consigli...
E come si sa i buoni consigli sono la peggior invenzione umana dopo il cilicio.
Ma quando uno non sa cosa dire, la prima cosa che viene in mente è buttarsi sul proverbio, sul buon senso, sul luogo comune. Se però non si è pratici di buon senso (e quel Sancio finto che son'io non ha nemmeno la licenza elementare di buon senso), quei buoni consigli diventano un abominio di stupidità, ridicolità, fraternité...
Intanto sta di fatto che alla mia veneranda età continuo a vivere in veranda: seduto, sbragato in mutande, col drink in mano, a guardare la gente che vive sul serio.
E mi sa - dico, mi sa - che sarebbe anche ora di fare qualcosa (fosse anche, per l'appunto - le pere), giusto per far vedere che per lo meno una via (la peggiore) la si è presa; giusto per poter dare, un giorno, un consiglio che non sia buono, ma che valga qualcosa.
mercoledì 19 marzo 2008
giovedì 13 marzo 2008
il movimento lavico fa acqua?
Non so se concordo con quel che ho scritto. Ma perlomeno mi sembra un primo modo di prendere una distanza critica da tutto ciò che è la gioventù, essendo io comunque giovane (cercando più che altro di esserlo). Intendiamoci, non che i giovani non siano critici. Ciò che nasce come nuovo è sempre e comunque una critica a ciò che già esiste prima di lui. Ma essere una contestazione vivente non significa sempre e comunque cogliere nel senso di ciò che si contesta.
Due ottimi gruppi napoletani (neanche tanto emergenti), i Lega leggera e i Pennelli di Vermeer, hanno concluso meno di due ore fa il concerto che dovrebbe lanciare (e probabilmente lancerà) il Movimento Lavico:
Il MOVIMENTO...LAVICO
...è una "COMUNITA' VIRTUALE" di artisti/gruppi musicali napoletani che utilizza la lingua italiana come canale preferenziale per i propri testi piuttosto che il dialetto...condivide esperienze, serate, guai e MONNEZZA...ponendosi come obiettivo ultimo la DIFFUSIONE del MADE in NAPLES sganciato dai modelli stereotipati degli ultimi anni...non è una GUERRA tra poveri: è il CORAGGIO DI OSARE e rivendicare il proprio diritto di ESISTERE!!!
Questo il manifesto (preso paro paro dal myspace dei Lega Leggera) del movimento, letto in serata al Velvet dal cantante Aldo, alla fine della sua esibizione e prima di quella dei Pennelli; il cui cantante a sua volta ha voluto esplicare che "abbandoniamo il dialetto anche per distinguerci da un pò di gruppi degli ultimi anni... un pò vicini ai centri sociali e magari a tematiche di cui a noi... in effetti non è che ce ne passa p'o cazz..."
Punto primo: i due gruppi in questione sono ottimi gruppi. Musicalmente ineccepibili e con una creatività eccentrica ed affascinante (più barocchi i Pennelli, Più rockeggianti i Lega - egualmente ed efficacemente teatrali entrambi), con testi che divertono, fanno pensare e soprattutto - cosa insolita per i concerti indie della scena italiana - si capiscono mentre il cantante li canta (si fosse finalmente capito che i suondcheck servono a qualcosa?).
Punto secondo: a Meg che allucca "uagliù facit burdell'" io le avrei piantato una roncola in mezzo agli occhi, al posto del piercing; a Zulù che me la mena col rafaniello e col salario garantito avrei sempre voluto chiedere chi è che glielo dovrebbe garantire, con quali soldi, e soprattutto perché; a Checco Di Bella avrei solo detto (in effetti glielo dissi davvero durante un'intervista) di prendersi meno sul serio nella parte del tossico poetico.
Punto terzo: ciò non toglie che le denuncie dei Posse fossero spesso leggittimissime, a prescindere dal fatto che chi le faceva potesse starmi più o meno sui coglioni, e che il suo uso del dialetto potesse sembrarmi a volte caricaturale; e - riguardo a Checco - non toglie nemmeno che "il poeta è fingitore/finge così completamente/da fingere che è dolore/il dolore che davvero sente" (Pessoa): come a dire, insomma, che un pò di trasandatezza biascicata fa parte stesso del personaggio.
Punto D: se i gruppi napoletani passano dal dialetto all'italiano, Napoli risorge? O, per lo meno, il mutamento di linguaggio può influire sulla resurrezione? E' questo il coraggio di osare? Così come non credevo ai proclami zuluisti, non credo a sta cazzata che cambiare lingua significa "avere il coraggio di osare" o addirittura "rivendicare il proprio diritto ad ESISTERE". Abbassando di molto il tiro non credo proprio che basti qualche canzone in lingua italica ad eliminare gli stereotipi napoletani. E poi sarebbe come a dire: "L'Italia oggi è una merda: per distinguerci cominciamo ad esmprimerci in tedesco".
Ciò non toglie che entrame le cose (le invettive dei Posse e il manifesto congiunto Lega/Pennelli) mi facciano riflettere, mi aiutino a capire la realtà che mi circonda e bla bla bla... ma da qui a credere che dicendo "ragazzi" invece di "uagliù" ho fatto la svolta ci passa una discarica in mezzo. Suonare è un conto, aiutare Napoli a risorgere un altro. Non che la cosa non influisca, ma se vuol davvero essere utile dev'esserlo senza pretese salvifiche. L'arte non toglie la munnezza dalla strade, anche se coloro che la praticano sentono il problema in maniera molto forte. La scelta dell'italico idioma è leggittimissima e anche intrigante (in un certo qual modo anche effettivamente nuova per la scena napoletana). Ma per favore non menatecela col manifesto (che sennò si rischia che torna pure di nuovo Zulù "cu' sicchio e a colla e 'i va' 'a 'zzeccà").
E questo è quanto (non mi va di scrivere oltre perché sono brillo e stanco).
E comunque il concerto è stato davvero bello.
mercoledì 12 marzo 2008
gazzella
Mi avrebbe mangiato. Senza scherzi, bastava guardarla. C’ho fatto l’occhio, il callo come dire. non è una questione di immagine, di - come dicono - bellezza. É che la vedi muoversi, ne scorgi il portamento, e allora capisci che non ce n’è; o meglio, che ce ne sarebbe, ma si rischiano la ossa, da rompersele sul serio. Quel poco di animale che sono rimasto mi aiuta a fiutare, ma solo certe volte. E questa era una di quelle. Bastava guardarla, la gambe slanciate in movimento; se fosse stata immobile mi sarei anche potuto avvicinare; che dico, per lo più avrei avuto gli occhi per alzarli da terra e fissarla, fissare qualcosa di lei, qualsiasi cosa, in segno di fiutamento, quasi per rendermi presente. Ma quelle gambe, in quelle calze colorate, con quel passo longilineo, quel quasi non toccare terra… tutto ciò mi ispidiva, mi esculeava la pelle, mi rendeva riccio, protetto, immobile, intimorito. Il vicolo, quasi per tener fede alla definizione che ne da un qualsiasi vocabolario, era all’incirca stretto, chiaroscurante, neanche troppo malvagio. Quindi che noi dovemmo passarci affianco, io il riccio chino nel calore del mio respiro, lei gazzella volante, preda solo per finta. non è cattiveria, è che ne ho già viste troppe di gazzelle; pure le ho rincorse, le ho afferrate, le ho morse, le ho perse… perché se non riccio, non so che essere orso; e se sei orso non la fermi una gazzella, nemmeno se le tendi una trappola in un vicolo.
Ci passammo oltre, e le mille inutili elucubrazioni letterarie dei miei movimenti quotidiani cessarono, almeno fino a casa.
venerdì 7 marzo 2008
mercoledì 5 marzo 2008
martedì 4 marzo 2008
addicted
Io non lo so se st'americana riuscirà a disintossicarsi, anche se spero ce la faccia. Certo partire raccontando tutto sul proprio blog... direi che è scoraggiante: come a dire che comunque gira e vota sempre nel virtuale si va a finire. Ma almeno è un tentativo...
Per quel che mi riguarda comincio ad averne le palle piene del computer, e la cosa si intensifica ancor più se penso che gran parte delle attività necesserie al procedimento regolare della mia giornata: dallo scrivere all'ascoltare musica, dal consultare testi al cazzeggiare, dallo scrivere agli amici al contattarli per uscire, dall'organizzare l'archivio fotografico al consultare per motivi di disinteressata analisi socioculturale i siti porno... tutto passa per questo dannato schermo. Sento atrofizzarsi tante cose, senza che io sia in grado di oppormi. Anzi, peggio, mi rendo conto dell'atrofizzazione solo quando è già avvenuta, e a quel punto... buonanotte.
Pensavo fosse un problema mio, o perlomeno circoscritto ad una determinata cerchia di utenti, ma ultimamente mi sto rendendo conto che non è affatto così. La tizia americana è solo l'ultimo elemento (lei incarna, diciamo, l'aspetto trendy del problema): quello che mi ha fatto cadere letteralmente nel panico è stato mio padre (che fino due o tre anni fa era quanto di più lontano ci potesse essere dalla tecnologia), quando mi ha confessato di non riuscire a stare l'intero finesettimana senza internet.
Direi che so' cazzi.