Il rock funziona fin quando non pretende di cambiare il mondo. O meglio, fin quando mantiene un minimo di consapevolezza che la sua volontà di cambiare il mondo è ridicola (e spesso autoreferenziale).
Non so se concordo con quel che ho scritto. Ma perlomeno mi sembra un primo modo di prendere una distanza critica da tutto ciò che è la gioventù, essendo io comunque giovane (cercando più che altro di esserlo). Intendiamoci, non che i giovani non siano critici. Ciò che nasce come nuovo è sempre e comunque una critica a ciò che già esiste prima di lui. Ma essere una contestazione vivente non significa sempre e comunque cogliere nel senso di ciò che si contesta.
Due ottimi gruppi napoletani (neanche tanto emergenti), i
Lega leggera e i
Pennelli di Vermeer, hanno concluso meno di due ore fa il concerto che dovrebbe lanciare (e probabilmente lancerà) il
Movimento Lavico:
Il MOVIMENTO...LAVICO
...è una "COMUNITA' VIRTUALE" di artisti/gruppi musicali napoletani che utilizza la lingua italiana come canale preferenziale per i propri testi piuttosto che il dialetto...condivide esperienze, serate, guai e MONNEZZA...ponendosi come obiettivo ultimo la DIFFUSIONE del MADE in NAPLES sganciato dai modelli stereotipati degli ultimi anni...non è una GUERRA tra poveri: è il CORAGGIO DI OSARE e rivendicare il proprio diritto di ESISTERE!!!
Questo il manifesto (preso paro paro dal myspace dei Lega Leggera) del movimento, letto in serata al Velvet dal cantante Aldo, alla fine della sua esibizione e prima di quella dei Pennelli; il cui cantante a sua volta ha voluto esplicare che "abbandoniamo il dialetto anche per distinguerci da un pò di gruppi degli ultimi anni... un pò vicini ai centri sociali e magari a tematiche di cui a noi... in effetti non è che ce ne passa p'o cazz..."
Punto primo: i due gruppi in questione sono ottimi gruppi. Musicalmente ineccepibili e con una creatività eccentrica ed affascinante (più barocchi i Pennelli, Più rockeggianti i Lega - egualmente ed efficacemente teatrali entrambi), con testi che divertono, fanno pensare e soprattutto - cosa insolita per i concerti indie della scena italiana - si capiscono mentre il cantante li canta (si fosse finalmente capito che i suondcheck servono a qualcosa?).
Punto secondo: a Meg che allucca "uagliù facit burdell'" io le avrei piantato una roncola in mezzo agli occhi, al posto del piercing; a Zulù che me la mena col rafaniello e col salario garantito avrei sempre voluto chiedere chi è che glielo dovrebbe garantire, con quali soldi, e soprattutto perché; a Checco Di Bella avrei solo detto (in effetti glielo dissi davvero durante un'intervista) di prendersi meno sul serio nella parte del tossico poetico.
Punto terzo: ciò non toglie che le denuncie dei Posse fossero spesso leggittimissime, a prescindere dal fatto che chi le faceva potesse starmi più o meno sui coglioni, e che il suo uso del dialetto potesse sembrarmi a volte caricaturale; e - riguardo a Checco - non toglie nemmeno che "il poeta è fingitore/finge così completamente/da fingere che è dolore/il dolore che davvero sente" (Pessoa): come a dire, insomma, che un pò di trasandatezza biascicata fa parte stesso del personaggio.
Punto D: se i gruppi napoletani passano dal dialetto all'italiano, Napoli risorge? O, per lo meno, il mutamento di linguaggio può influire sulla resurrezione? E' questo il coraggio di osare? Così come non credevo ai proclami zuluisti, non credo a sta cazzata che cambiare lingua significa "avere il coraggio di osare" o addirittura "rivendicare il proprio diritto ad ESISTERE". Abbassando di molto il tiro non credo proprio che basti qualche canzone in lingua italica ad eliminare gli stereotipi napoletani. E poi sarebbe come a dire: "L'Italia oggi è una merda: per distinguerci cominciamo ad esmprimerci in tedesco".
Ciò non toglie che entrame le cose (le invettive dei Posse e il manifesto congiunto Lega/Pennelli) mi facciano riflettere, mi aiutino a capire la realtà che mi circonda e bla bla bla... ma da qui a credere che dicendo "ragazzi" invece di "uagliù" ho fatto la svolta ci passa una discarica in mezzo. Suonare è un conto, aiutare Napoli a risorgere un altro. Non che la cosa non influisca, ma se vuol davvero essere utile dev'esserlo senza pretese salvifiche. L'arte non toglie la munnezza dalla strade, anche se coloro che la praticano sentono il problema in maniera molto forte. La scelta dell'italico idioma è leggittimissima e anche intrigante (in un certo qual modo anche effettivamente nuova per la scena napoletana). Ma per favore non menatecela col manifesto (che sennò si rischia che torna pure di nuovo Zulù "cu' sicchio e a colla e 'i va' 'a 'zzeccà").
E questo è quanto (non mi va di scrivere oltre perché sono brillo e stanco).
E comunque il concerto è stato davvero bello.