venerdì 1 febbraio 2008

dance, dance, dance, dance, dance, to the radio

No language, just sound, that's all we need know, to synchronise
love to the beat of the show.




Tornassero almeno gli anni '80, fossimo noi più glamour, più dark, più metallari, più paninari. Si smettesse almeno di piangere al video, per tornare a cosa poi, al dance to the radio? Ma dicono sia in effetti sempre lo stesso, e forse ieri era anche peggio. Si guarda altrove per non sentirsi soli, si bramano decadi andate, mode passate, per aver l'impressione che il presente sia parentesi, degenerazione, accidente. Solo la bellezza resta, ma quella del momento, che poco aiuta la mattina presto. Ma la verità è che io non ho capito niente, che noi copiamo tutto, e siamo le ombre di noi stessi, di progetti forse nostri o forse no, dei nostri incubi repressi, di una tecnologia che ci manovra, di uno schermo che ci appiattisce, anche quando è interattivo e virtualmente ci risponde... anche allora, soprattutto allora, il nostro culo ne risente, si atrofizza la mente, siamo divorati dal presente. Fuggite, sapiens, fuggite. Fuggiamo umani, rinserriamo le fila delle nostre paure e spandiamole in piazza senza fare show, solo per liberarcene, o per lo meno far finta di liberarcene. Che forse in effetti è il terrore che ancora ci mantiene vivi, l'unico appiglio che ci aggrappa sull'orlo di un burrone vuoto, di un nulla che subsonicamente esploderà, ma lo farà sempre all'interno, perchè non c'è rivoluzione che tenga quando il nemico, il male, non è identificabile in qualcosa di materiale, poichè tutto è materia, noi per primi e non sappiamo più scindere ormai, tanto che anche le informazioni, le parole sono materiali. Non carne, ma plastica.
Siamo un'epoca non biodegradabile.

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