
Ecco, mi sarebbe davvero piaciuto ascoltare i commenti del duce e del führer a una foto come questa.
"Oggi, dalle parti di Flumeri (Avellino) abbiamo avuto un'idea onirica ma promettente:
rilastricare i settecento chilometri dell'Appia alla maniera classica e farne un
grande itinerario pedonale fra Roma e Brindisi. Sarebbe una grandissima opportunità
di rilancio per la mobilità dolce e il turismo in regioni come il Sannio e l'Irpinia
che ci stanno lasciando a bocca aperta per la vegetazione lussureggiante, l'aria
pulita e il decoro inatteso dei centri abitati: la Campania non è solo quella raccontata
nei telegiornali o da Gomorra."
La cosa più difficile quando si tenta di spiegare che si è diversi da qualcosa a cui si viene normalmente assimiliti per via dei luoghi comuni è evitare di passare per razzisti o qualunquisti. Quindi quando le differenze reali le coglie un forestiero si è ben lieti di segnalarlo.Qua non sappiamo più quanto stiamo antanto su questa tera...
I problemi del "fascino" e della "direzione" sono strettamente collegati. Una "direzione" netta (sia essa la dittatura del proletariato o la conquista dell'Abissinia - fatte le solite dovute e necessarie differenze) è, per ampi strati della società civile, automaticamente carica di fascino. Quando manca l'ideologia (e non sono tra quelli che credono che ciò sia un male, per lo meno se intesa in senso "classico"), ad attrarre maggiormente sono 1) gli pseudo-valori tramandati (dio-patria-familgia), che il loro appeal ce l'hanno sempre, e 2) le cose "luccicanti", come l'abolizione dell'ICI o Ronaldinho al Milan. Dove manchino "valori" e "direzione", l'odierno "capitale" - permissivo e patinato, ben diverso da quello autoritario e cafone dei nostri nonni - ha gioco facile a ingurgitare ogni cosa. Che i "valori non svendibili" (cito da Casini) siano un interesse fittizio degli italiani lo dimostra il fatto che lo stesso Casini senza l'alleanza con l'impero della libertà sia, elettoralmente parlando, una nullità o poco più.
In sostanza, quindi, l'Italia è una bimba che ama le cose luccicanti. E direi che quanto a luccicanza Berlusconi è meglio di Mastro Lindo. Ora, se si è deciso di non emigrare, la questione è: competere formalmente con Mastro Lindo sul suo terreno, restando sostanzialmente diversi da lui. Walter, per dirne una, ha fatto una campagna elettorale sostanzialmente luccicante, e formalmente antica. Ossia il peggio del peggio.
Ma tornando a noi, "far luccicare" - per esempio - il commercio etico è molto più difficile che far "luccicare" il capello tinto di Berlusconi. La vera sfida è capire far capire che cose apparentemente piccole - il risparmio energetico, il rispetto delle libertà civili, la meritocrazia, la raccolta differenziata, la trasparenza etica delle istituzioni, la separazione della sfera pubblica da quella privata non solo in politica - pur se non connesse di per sé da un'ideologia (sempre nel senso "classico" del termine") di fondo che le sorregga, rappresentano già una "direzione". Una "direzione" che non sbrilluccica perché mira a piccole concretezze positive, che rendano migliore la vita nostra e di chi ci cammina accanto per le strade.
La domanda che mi e vi pongo è: "Come si può tradurre tutto ciò in politica reale? Bisogna far passare questi temi all'interno delle trame di partito - quale che sia - o puntare sul piccolo e quotidiano?"
Il MOVIMENTO...LAVICO
...è una "COMUNITA' VIRTUALE" di artisti/gruppi musicali napoletani che utilizza la lingua italiana come canale preferenziale per i propri testi piuttosto che il dialetto...condivide esperienze, serate, guai e MONNEZZA...ponendosi come obiettivo ultimo la DIFFUSIONE del MADE in NAPLES sganciato dai modelli stereotipati degli ultimi anni...non è una GUERRA tra poveri: è il CORAGGIO DI OSARE e rivendicare il proprio diritto di ESISTERE!!!
Questo il manifesto (preso paro paro dal myspace dei Lega Leggera) del movimento, letto in serata al Velvet dal cantante Aldo, alla fine della sua esibizione e prima di quella dei Pennelli; il cui cantante a sua volta ha voluto esplicare che "abbandoniamo il dialetto anche per distinguerci da un pò di gruppi degli ultimi anni... un pò vicini ai centri sociali e magari a tematiche di cui a noi... in effetti non è che ce ne passa p'o cazz..."
Punto primo: i due gruppi in questione sono ottimi gruppi. Musicalmente ineccepibili e con una creatività eccentrica ed affascinante (più barocchi i Pennelli, Più rockeggianti i Lega - egualmente ed efficacemente teatrali entrambi), con testi che divertono, fanno pensare e soprattutto - cosa insolita per i concerti indie della scena italiana - si capiscono mentre il cantante li canta (si fosse finalmente capito che i suondcheck servono a qualcosa?).
Punto secondo: a Meg che allucca "uagliù facit burdell'" io le avrei piantato una roncola in mezzo agli occhi, al posto del piercing; a Zulù che me la mena col rafaniello e col salario garantito avrei sempre voluto chiedere chi è che glielo dovrebbe garantire, con quali soldi, e soprattutto perché; a Checco Di Bella avrei solo detto (in effetti glielo dissi davvero durante un'intervista) di prendersi meno sul serio nella parte del tossico poetico.
Punto terzo: ciò non toglie che le denuncie dei Posse fossero spesso leggittimissime, a prescindere dal fatto che chi le faceva potesse starmi più o meno sui coglioni, e che il suo uso del dialetto potesse sembrarmi a volte caricaturale; e - riguardo a Checco - non toglie nemmeno che "il poeta è fingitore/finge così completamente/da fingere che è dolore/il dolore che davvero sente" (Pessoa): come a dire, insomma, che un pò di trasandatezza biascicata fa parte stesso del personaggio.
Punto D: se i gruppi napoletani passano dal dialetto all'italiano, Napoli risorge? O, per lo meno, il mutamento di linguaggio può influire sulla resurrezione? E' questo il coraggio di osare? Così come non credevo ai proclami zuluisti, non credo a sta cazzata che cambiare lingua significa "avere il coraggio di osare" o addirittura "rivendicare il proprio diritto ad ESISTERE". Abbassando di molto il tiro non credo proprio che basti qualche canzone in lingua italica ad eliminare gli stereotipi napoletani. E poi sarebbe come a dire: "L'Italia oggi è una merda: per distinguerci cominciamo ad esmprimerci in tedesco".
Ciò non toglie che entrame le cose (le invettive dei Posse e il manifesto congiunto Lega/Pennelli) mi facciano riflettere, mi aiutino a capire la realtà che mi circonda e bla bla bla... ma da qui a credere che dicendo "ragazzi" invece di "uagliù" ho fatto la svolta ci passa una discarica in mezzo. Suonare è un conto, aiutare Napoli a risorgere un altro. Non che la cosa non influisca, ma se vuol davvero essere utile dev'esserlo senza pretese salvifiche. L'arte non toglie la munnezza dalla strade, anche se coloro che la praticano sentono il problema in maniera molto forte. La scelta dell'italico idioma è leggittimissima e anche intrigante (in un certo qual modo anche effettivamente nuova per la scena napoletana). Ma per favore non menatecela col manifesto (che sennò si rischia che torna pure di nuovo Zulù "cu' sicchio e a colla e 'i va' 'a 'zzeccà").
E questo è quanto (non mi va di scrivere oltre perché sono brillo e stanco).
E comunque il concerto è stato davvero bello.
Mi avrebbe mangiato. Senza scherzi, bastava guardarla. C’ho fatto l’occhio, il callo come dire. non è una questione di immagine, di - come dicono - bellezza. É che la vedi muoversi, ne scorgi il portamento, e allora capisci che non ce n’è; o meglio, che ce ne sarebbe, ma si rischiano la ossa, da rompersele sul serio. Quel poco di animale che sono rimasto mi aiuta a fiutare, ma solo certe volte. E questa era una di quelle. Bastava guardarla, la gambe slanciate in movimento; se fosse stata immobile mi sarei anche potuto avvicinare; che dico, per lo più avrei avuto gli occhi per alzarli da terra e fissarla, fissare qualcosa di lei, qualsiasi cosa, in segno di fiutamento, quasi per rendermi presente. Ma quelle gambe, in quelle calze colorate, con quel passo longilineo, quel quasi non toccare terra… tutto ciò mi ispidiva, mi esculeava la pelle, mi rendeva riccio, protetto, immobile, intimorito. Il vicolo, quasi per tener fede alla definizione che ne da un qualsiasi vocabolario, era all’incirca stretto, chiaroscurante, neanche troppo malvagio. Quindi che noi dovemmo passarci affianco, io il riccio chino nel calore del mio respiro, lei gazzella volante, preda solo per finta. non è cattiveria, è che ne ho già viste troppe di gazzelle; pure le ho rincorse, le ho afferrate, le ho morse, le ho perse… perché se non riccio, non so che essere orso; e se sei orso non la fermi una gazzella, nemmeno se le tendi una trappola in un vicolo.
Ci passammo oltre, e le mille inutili elucubrazioni letterarie dei miei movimenti quotidiani cessarono, almeno fino a casa.